Vetro, la Chimica.
Elementi base Si, O, Na, Ca e C.
Disquisendo sulla natura del vetro, Aristotele lo paragonò al ferro e agli altri metalli estraibili dalle rocce e tutti “contenenti acqua” perché, sia pure col calore erano riducibili in forma liquida. Il vetro quindi non risultava essere, secondo la filosofia greca, un composto, ma un elemento naturale. (Aristotele Metereologica 389a)
Il vetro venne incluso quindi nella categoria metalla.
Al di là delle sperimentazioni e dei metodi empirici che hanno creato opere utili e mirabili nei millenni, è necessario attendere l’avvento della chimica moderna per comprendere la reale composizione del vetro.
I mercanti fenici accesero un fuoco su una spiaggia e come noto nella sabbia si ha una abbondanza si SiO2, biossido di silicio.
Nella sabbia erano anche presenti resti di conchiglie, formati primariamente da CaCO3 o carbonato di Calcio.
Poggiarono le loro stoviglie su blocchi di Natron ovvero Na2CO3.
In definitiva il biossido di Silicio forma cristalli molto stabili con un reticolo cristallino che prevede un atomo di Si al centro e una trama di atomi di ossigeno a formare ideali corpi piramidali che hanno l’aspetto di tetraedri.
Un reticolo cristallino così strutturato (cristobalite, figura A qui sotto) è molto difficile da alterare a meno che non si riscaldi ad altissime temperature
temperatura fusione vetro 1200 °C
in presenza di altri elementi.
Il reticolo si allenta e si creano distorsioni (figura B qui sotto), in cui si vanno a posizionare atomi di Sodio (Na) che, anche dopo raffreddamento lasciano la struttura imperfetta dal punto di vista dell’organizzazione.
In vetro è un solido amorfo avente caratteristiche di solidità e composizione paragonabile a quella di un liquido in movimento (figura C qui sotto).
Se in fase di fusione, si addizionano pigmenti, sali, ossidi minerali di elementi diversi, si possono ottenere colorazioni e caratteristiche con alto tasso di variabilità.
In definitiva il vetro è una pasta che si può fondere migliaia di volte, che non altera mai la sua struttura e che può essere modellata con tutte le tecniche fisiche e meccaniche conosciute.
Più che parlare di tipologie di vetro, sarebbe corretto riferirsi agli usi del vetro.
Abbiamo visto che già nell’antichità si distinguevano monili, vasellame, lastre per finestre, contenitori per liquidi, raramente acqua o vino per i quali andava benissimo la terracotta. Per le essenze profumate o per le sostanze medicamentose, invece, si usava il vetro perché non interagiva in nessun modo con le sostanze che contenevano le ampolle.
Il vetro è chimicamente inerte
ovvero non reagisce con niente (o quasi) praticamente con nessuna delle sostanze utilizzate normalmente nella vita.
Si ebbero così
e avvicinandoci ai nostri tempi abbiamo
insomma una grande varietà di uso e impieghi di una unica sostanza.
A differenziare ulteriormente questa materia sono poi i trattamenti, prima su tutti la Tempra e (non Tempera).
Il procedimento è assai complesso e consiste nel riscaldare, su rulli o superfici, il vetro a 650 °C per poi raffreddarlo bruscamente. Le strutture del reticolo cristallino si bloccano così originando strutture tridimensionali atipiche e dotate di resistenza anche sei volte superiore al vetro di origine.
Come fece Galileo Galilei a osservare la superficie della luna? Come fece Antoni van Leeuwenhoek a osservare i globuli rossi nel 1632?
Semplice, utilizzando lenti biconvesse di vetro che avevano la capacità di alterare la visione dell’occhio nudo.
Il cammino per arrivare a questi step scientifici però, fu lungo e lento e non furono punti di arrivo, ma di partenza.
Tolomeo, nel suo libro l’Ottica, stabilì le condizioni per le quali una lamina di vetro era capace di esercitare un “potere di rifrazione” sulla luce.
Tolomeo, scienziato ante litteram, operò con spirito moderno, osservando, diagrammando, ripetendo gli esperimenti, incasellando i risultati. Da Tolomeo ai moderni telescopi se ne è fatta di strada, ma anche in questo ambito, le potenzialità del vetro e delle lenti erano già state comprese nell’antichità.
Il vetro accompagna poi un’altra branca della conoscenza, l’Alchimia (prima) e la Chimica (poi).
Il destino fortunato di questa materia si deve al fatto che non reagisce praticamente con niente. Già nel I secolo d.C. lo studioso Dioscoride, nel suo libro De Materia medica nel descrivere il trattamento del Cinabro per ottenere l’Argento Vico (in realtà il Mercurio) afferma che tale materiale “si raccoglie, goccia per goccia, sui coperchi dei crogioli e si conserva in vasi di vetro dal momento che altrimenti, corrode qualsiasi altra materia”.
Sappiamo poi che una delle occupazioni preminenti degli alchimisti era la trasmutazione della materia e l’ottenimento dell’oro o delle pietre filosofali. Non solo dovevano raggiungere dei risultati, ma dovevano anche fornire spiegazione del loro operato
La plausibilità della trasmutazione tra sostanze è enunciata da Enea di Gaza, vissuto nel V secolo d.C., che scrisse: “Non c’è niente di incredibile nella metamorfosi della materia in uno stato superiore. Coloro che sono versati nell’arte alchemica prendono argento e stagno, ne cambiano l’apparenza e li trasmutano in oro eccellente. Il vetro si trasforma in una sostanza nuova e brillante, combinando sabbia divisibile e natron solubile”.
L’arte vetraria offriva dunque un bellissimo esempio di come alcune sabbie comuni potessero trasformarsi nella fornace in un materiale nobile e brillante.