Acciaio E vino.
Di storia ed è già tradizione
Fino alla fine degli anni ’70, la vinificazione veniva effettuata, almeno in Italia, al 100% in contenitori di cemento. La deposizione dei tartrati (cristalli di sale) sulle pareti in muratura ad opera del mosto in fermentazione, rendeva i tini passivi e inerti da un punto di vista chimico e, quindi, perfetti.
Più raramente (mio nonno lo faceva per piccole quantità o in annate particolarmente abbondanti quando il tino “non bastava”), anche la fase di fermentazione si poteva fare in botti di legno “scoperchiate” e messe in verticale.
Negli anni ’80 seguendo una moda proveniente dagli Stati Uniti (maestri di tecnologia sì, di enologia no), furono introdotti nelle cantine i tini in acciaio. A favore di questa pratica si segnala senza dubbio
Questi elementi, considerando anche (la nominale) inerzia dell’acciaio a interagire con le uve e quindi a non modificare i prodotti, hanno determinato la rivoluzione e l’evoluzione dell’enologia.
Dal primo impiego, ovvero per la sola fase della fermentazione alcoolica, si è passati alla conservazione e affinamento in tini d’acciaio di cui molte cantine vanno fiere.
Rimandando ai trattati di enologia le definizioni di acidità totale o volatile, resta il fatto che, chimicamente, il parametro di valutazione dell’acidità o basicità di una sostanza sia
il pH ovvero il -Log [ioni H].
Senza scendere in dettagli tecnici, abbiamo visto che i contenitori di acciaio destinati a uso alimentare possono subire prove di rilascio di Cr, Ni, Mn e per farlo si riempiono di soluzioni di acido acetico a pH 2.52
La prova più severa prevede un tempo di contatto di 10 giorni a 40 °C.
La fermentazione non si protrae mai per più di 2 o 3 giorni (in alcuni casi va oltre) e quindi il fattore tempo è ampiamente al di sotto della soglia critica dei parametri di controllo. Bene.
Il pH di un mosto, scenda a quote variabili fra 2.8 e 4.0 generando (chimicamente parlando) un ambiente molto acido analogo designato per le prove di rilascio. Dato di fatto.
Ammesso e non concesso che tutto vada bene, immaginiamo che dopo la fermentazione il vino sia messo ad “affinare” in acciaio per 6 mesi, 1 anno o tempi ancora più lunghi.
Il fattore tempo va ben oltre i 10 giorni dei test di rilascio. Bene? Benino? Male?
Il fattore temperatura, invece, resta sempre controllato e ben al di sotto delle temperature di prova. Bene.
Ormai è norma usare i tini in acciaio per affinare il vino e tutti affermano che non subisce modifiche a causa dell’acciaio. Ma la domanda è, l’acciaio subisce modifiche a carico del vino?
E, se sì, possono essere liberate nel vino concentrazioni rilevabili dei leganti dell’acciaio?
Faccio notare che nessun disciplinare, nessuna norma di ISS sui MOCA nessuno mai, parla di vino come di un alimento.
Perché quando si fa riferimento a potenziali pericoli di desorbimento dall’acciaio, si fa espresso riferimento a pomodori, succhi di frutta, limone e mai al vino che ha un pH ben più acido di tutti gli alimenti succitati e che resta in contatto con le superfici per tempi incredibilmente lunghi rispetto a una pomarola?
Per finire… il pH finale di una bottiglia messa in tavola è
circa 3.0 per i vini bianchi e
circa 3.4 per i rossi.
Quando scegliamo un vino, cerchiamo di capire meglio quale sia stato il suo ciclo produttivo, prima dell’imbottigliamento.
Mangiare e bere è necessario, conoscere è indispensabile.
Ormai non ce ne rendiamo più neanche conto. Nella nostra vita, sulle nostre tavole, arrivano oggetti di uso comune e non ci preoccupiamo di conoscerne la provenienza. Basta dare un’occhiata alla cartina per comprendere (se mai ce ne fosse bisogno) un paio di cose
Resto sul tema alimenti. L’acciaio di élite per la produzione di posate e pentole, nonché contenitori da vino è il
AISI 304 ovvero X5CrNi 18/10 chiamato ormai confidenzialmente INOX o diciottodieci (tutto attaccato).
Va da sé che un coltello da tavola del peso di 100 grammi (in realtà potrebbe pesare 50-70 grammi, ma si capiscono meglio i calcoli), contenga
18 grammi di Cromo
10 grammi di Nichel.
Da dove arrivano?
Il Cromo è estratto per metà in Sudafrica e poi Kazakistan, India e Turchia.
Il Nichel è estratto per 3/4 in Indonesia e poi Filippine, Australia, Russia e Canada.
Riflessioni brevi:
Si fa un gran parlare (abbiamo molti GURU del GREEN), di prodotti a chilometro zero, di filiere corte, di attenzione agli sprechi, di riciclo dei materiali e poi? Avete mai notato che i nuovi soloni ci accolgono nelle loro case finte (nei tutorial su yuotube) con posate e pentole diciottodieci?
Ma poniamo un’altra domanda.
A prescindere dalla provenienza dei materiali minerari, dove vengono prodotte le pentole e le posate e da dove arriva l’acciaio per i tini dedicati al vino?
Da oriente, ovviamente, quasi esclusivamente dalla Cina. E allora ci facciamo e vi facciamo un’altra domanda.
Lasciamo da parte la contraffazione, ovvero lo spacciare per prodotti italiani i materiali che invece sono importati. Sapete che le norme di conformità in Cina sono diverse dagli standard europei? Come precisato nell’articolo Acciaio e Cucina, il produttore rilascia certificazioni di congruenza alle linee guida dichiarate.
Ma se le linee guida cinesi sono diverse da quelle europee, qual è la composizione delle posate e delle pentole provenienti dall’estero?
Sapete quanti sequestri di materiale per eccesso di Nichel avvengono ogni anno?
E poi, così chiudiamo questa riflessione.
Vogliamo parlare dei manici di certi coltelli? Ma dove è finita la guerra alle plastiche? Se almeno (sia pur alla cinese) le lame sono certificate, dove sono i dettagli costruttivi delle plastiche e delle resine?
Cercate di apparecchiare bene le vostre tavole.
Mangiare e bere è necessario, conoscere è indispensabile.